Il JAZZ, dopo gli esplosivi anni Settanta, ha nito con l’identi carsi quasi totalmente con l’idea di “fusione”, rivelatasi sempre pro cua a partire dalla sua nascita nella multi-etnica e multi-linguistica New Orleans di inizio Novecento. È così che nei festival, specialmente quelli europei, si sono sempre più spesso sentite musiche magni camente eseguite, ma a volte prive di quel sapore e di quegli ingredienti che hanno reso il JAZZ così grande ed indispensabile nel corso della sua vertiginosa corsa lungo le strettoie del secolo breve. Due fra tutti: “lo swing”, quel contagioso e inafferrabile mistero ritmico in grado di mutare di era in era e di musicista in musicista e, secondo ingrediente, la conquista da parte del musicista di una voce poetica fortemente individuale, lontana da riproduzioni e comodi stereotipi. Ecco perché il Chiozzini ha deciso di dedicare l’edizione 2016 alla celebrazione di questi caratteri. Il che non ha significato mettere in la alcuni di quei bravi ma antistorici revivalisti per i quali il tempo non sembra essere mai passato. Ma al contrario identficare musicisti propulsivi che abbiano saputo incorporare quei tratti nel proprio percorso poetico, aggiornandoli e piegandoli creativamente, come ogni grande jazzman ha sempre fatto.